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33mo Memorial Stefano Ferraris

Torino, fino a ieri, erano tanti piccoli particolari sfuocati a formare un unico, brutto ricordo: i viali come disegnati su un enorme foglio di carta millimetrata con la consegna di non lasciare mai le righe, i quartieri dormitorio in stile sovietico e un centro che sì, dicono carino ma di certo non può esserlo a sufficienza per trasformare una città dall'animo prettamente industriale in un posto che dici bello, mi piace. Erano i primi anni '90 e a Torino, di tanto in tanto, andavo per lavoro. Distratto dal pregiudizio e da quelle mescolanze che ora ho imparato ad amare, incapace di andare oltre la superficie. Dimentico della sua storia.

Sabato, invece, sabato Torino era bellissima. E non solo per via dell'atmosfera festosa del Torino Jazz Festival o della modalità turista attivata. Sabato Torino era proprio bella. Torino è l'armonia delle sue architetture, lo sfarzo di Palazzo Reale, il cielo sopra Piazza San Carlo e Piazza Castello, il porticato di Via Po, Piazza Vittorio Veneto e la vista della collina di Superga, la Basilica, la Mole Antonelliana, la Cavallerizza, il Po e i suoi ponti. Certamente del tanto altro che non abbiamo avuto modo di vedere.

Torino m'ha sorpreso raccontandomi una storia di quelle che non capitano proprio a tutte le città, ma con la vitalità di chi non vive all'imperfetto. Torino era bellissima e pure le periferie. La campagne, poi, i paesi, la provincia. L'abbazia di Staffarda.

In questo fine settimana, io e Monica volevamo respirare aria diversa da quella di Milano e a portarci a Torino è stata una corsa. Il Memorial Stefano Ferraris organizzato a None dagli amici della Podistica None. Nei miei propositi, questa doveva essere l'opportunità per tapasciare con Davide, Marco, Mario, Giovanni e gli amici con cui avevamo passato una splendida giornata qualche mese fa, a Venaria Reale. Ma non avevo fatto i conti col Partigiano, che nel weekend lungo Davide se l'è portato via, e col fatto che il gruppo sportivo era impegnato a organizzarla, la gara. Mi sono ritrovato a correre da solo, insomma. E correre per correre, ho provato a darmi un obiettivo, che è l'ormai ricorrente 10.000 sotto i 40 minuti. Obiettivo molto probante, a cui mancano solo una trentina di secondi. Lo stato di grazia era condizione necessaria per farcela e già prima della partenza sentivo di non essere in buona compagnia. I 15 chilometri percorsi a piedi il sabato me lo hanno confermato già durante il riscaldamento.

Parto, m'attacco a un treno che sembra viaggi al mio passo e con discreta fatica riesco a stare leggermente sopra ai 4 Km/minuto. Al quinto, il ritardo accumulato è già di 25 secondi e capisco che nei successivi 5 non sarei stato in grado di migliorare i miei tempi. Decido quindi che è inutile continuare ad ammazzarmi per non trovare soddisfazione all'arrivo, rallento di una quindicina di secondi e mi trascino senza grande piacere, a parte quello di correre nella Riserva, fino al traguardo. Il crono è di 48'10", accettabile per gli 11200 complessivi del percorso, ma ottenuto con troppa fatica anche quando la fatica non sembrava essere necessaria.

A cancellare del tutto il retrogusto leggermente amaro che m'era rimasto in bocca ci hanno poi pensato Giovanni e Mario che, interrotte le premiazioni di chi un premio se l'è guadagnato lungo il percorso, mi hanno insignito del trofeo per l'atleta arrivato da più lontano. Un gesto di simpatia e amicizia che, in sincerità e senza voler essere inutilmente buonista, ricorderò con molto più piacere che se non avessi raggiunto l'obiettivo di cui dicevo prima.

Bel posto, Torino. Belle persone, i miei amici della Podistica None.

Il Miglio Ambrosiano

Tolto l'arrivo della Stramilano 2013, l'ultima volta che corsi all'Arena avevo 13 anni. Era il 1983. Avevo partecipato alle qualificazioni del Guizzo Vincente e vinto la mia batteria con un buon tempo. Gli ottanta metri, insieme al salto in alto, erano la mia specialità.
Con l'Arena ormai svuotata dell'orda di partecipanti, e all'epoca erano davvero tanti, aspettavo sulle tribune col mio amico Filippo che venissero comunicati i nomi dei qualificati per le semifinali. I più veloci di Milano. Lo speaker iniziò dai migliori, ma il mio nome, Andrea Lo Faro, non era tra i primi nove. Rimaneva da pronunciare l'ultimo. Inutile dire che sognavo fosse il mio. 
Decimo e ultimo qualificato.
Una pausa, non so dire esattamente quanto lunga, per me lunghissima. Come nei film, anche se, credimi, non è un film o il frutto della mia fantasia quello che sto raccontando.
Andrea.
Ci siamo. Ce l'ho fatta.
Pronunciata la prima sillaba del cognome, mi sono sentito come un palloncino che scappa dalle mani di un bambino. Altro che Moccia e i suoi 3 metri sopra il cielo. Ma è stato solo un istante.
Locatelli.

Alle semifinali, insieme ad Andrea Locatelli e ai primi nove, parteciparono altri sei ripescati. I cui nomi vennero fatti solo alcuni giorni dopo. Io ero il terzo di quei sei, tredicesimo tempo. L'accesso alle semifinali, dove le cose non andarono come speravo, non ha cancellato il ricordo di quell'istante in cui la forza di gravità sembrava avesse interrotto la sua azione sul mio corpo. Gioia e delusione nel volgere di una sillaba. Andrea Locatelli al posto di Andrea Lo Faro.
E' con quel ricordo che, a distanza di 33 anni, sono entrato all'Arena per partecipare alla terza tappa del circuito del Club del Miglio.


L'attesa mi rende euforico. Adoro quand'è così. In tribuna c'è mio padre, in gioventù una promessa del mezzofondo e ora sempre più appassionato delle mie sorti, già che ho scelto di cimentarmi nella sua specialità. Non solo. Salendo i gradini trovo Omar, che più tardi scriverà una mail a un gruppo di amici in comune che inizia così: oggi aspettavo il tram in zona Arena con Anna, abbiamo sentito voci provenire dall'Arena, Anna si era fatta l'idea che fosse uno spettacolo per bambini, io speravo fosse qualche gara di atletica, così siamo andati a vedere. Gara di atletica. Io felicissimo, Anna contenta (per mezz'ora) di vedere bambini e ragazzi che correvano e saltavano. speriamo venga voglia anche a lei.
A un certo punto mi viene incontro una faccia conosciuta, era il Lofa con la maglia dei Podisti Anonimi che partecipava a una gara sul Miglio per un circuito senior.

Insieme a mio padre c'è Omar, quindi. E forse pure Micaela, compagna di scuola delle Superiori che ho incontrato lì per caso con i figli e che, non fosse stato per la sua insistenza, non avrei mai riconosciuto. Ci sono Giovanni e Mario, come sempre, e come sempre Jessica. Alle solite facce se ne aggiungono tante altre, questa volta siamo oltre 500. Di cui 20 solo nella mia categoria.
Nello schierarmi, mi perdo un po' su a chiacchierare con gli altri concorrenti e dimentico di accendere il GPS. Quando lo faccio, è troppo tardi. Lo sparo è lì lì a venire.

Parto dietro tutti, ma, con un azione fin troppo decisa, prendo la corda dopo pochi metri e mi posiziono subito a ridosso dei primi. E' in prima corsia che devo correre, me l'hanno insegnato i 30 metri in più "di cortesia" fatti a Voghera per non dar noia ai più veloci. Devo evitare di partire a razzo e poi scoppiare, ma allo stesso tempo tenere un buon ritmo. Trovare il giusto equilibrio. Il GPS fa tritri dopo circa 200 metri, ha trovato il satellite, lo avvio e prendo come riferimento una linea. Forse proprio quella dei 200.

Concludo il primo giro senza avere la minima idea del tempo, che comunque non dev'essere male, a giudicare dai pochi che mi stanno davanti e i tanti che mi stanno dietro. Arrivo ai primi 400 metri tracciati, 1'21". Va fin troppo bene e sento di poter andare avanti in quel modo. Passo lungo il rettilineo delle tribune principali e sento Omar urlare vai Lofa e mio padre, appostato in pista con la macchina fotografica, incitarmi con un vai bene così Andrea, continua così! 

Il secondo giro tracciato dice 2'50": perdo qualcosa rispetto al primo, ma sono in vantaggio sul mio obiettivo. Curvo, arrivo sul rettilineo del terzo giro e mi trovo un muro di vento contrario che mi spezza gambe. Ma il tritri del primo chilometro (3'30", perfetto!) e il dindin della campanella ravvivano il mantra che mi ripeto da che inizio a essere in debito di ossigeno e gambe, mantra che fa dura poco dura poco dura poco. Faccio la faccia delle grandi occasioni e taglio il traguardo ignaro del tempo, ma lasciandomi dietro parecchi avversari. Alla fine, il crono ufficiale è 5'47", 11 secondi sotto il tempo di Voghera. Dodicesima posizione di venti.
Contento contento. Tanto tanto.
Il prossimo Miglio è in notturna al XXV Aprile, altra pista storica dell'Atletica milanese. Al 13 di maggio manca ancora troppo tempo, però.

Le foto, anche stavolta tantissime e bellissime, sono QUI (Salvatore Lo Faro) oppure QUI  (Antonio Capasso).

La margherita, gli occhiali e i titoli di coda

Doveva essere il fine settimana delle rinunce, s'è trasformato nella prima accoppiata sabato-domenica dopo oltre due anni: per somma gioia della margherita, tra il Miglio di Voghera e la Run Donato ho scelto entrambi. Nonostante il piede, i bronchi in rivolta e, più di tutto, la paura che il mio Tendine d'Achille mi facesse pagare cara una licenza che diventa un precedente al quale non potrò che dare seguito.

Ne è venuto fuori un weekend che sì, con la ciliegina finale che non ho saputo mettere sul traguardo della Run Donato sarebbe stato un weekend memorabile, ma che in verità ricorderò perché ho rotto i vecchi occhiali che usavo per correre. I miei occhiali da corsa. Ci ho fatto un sacco di corse, coi miei occhiali da corsa. E tutti gli allenamenti tutti da che correvo con le scarpe del Decathlon. Che poi della corsa non avevano niente, sia chiaro, ma erano i miei occhiali da corsa. E forse non è un caso che in questo weekend mi siano state fatte millemila foto bellissime. Con su gli occhiali, ovvio. Forse i miei occhiali hanno voluto farsi ricordare così. In pista a Voghera a migliorare sia il Chilometro che il Miglio. E a San Donato ad abbassare di una dozzina di secondi il 5000.

A Voghera ho scelto la tattica suicida: al secondo appuntamento di dieci del Club del Miglio volevo provarci. Volevo capire quanto sarei durato partendo subito a razzo. Risultato: un primo giro in cui non mi capacitavo del fatto che nessuno mi superasse e nonostante corressi in seconda corsia per permettere ai concorrenti più veloci di non attardarsi dietro di me.

Passaggio a fine primo giro in terza posizione, proiezione tempo finale un irreale 5 minuti netti. 800 ancora tra i primi, poi tracollo totale negli ultimi due giri. Ma crono finale tre secondi sotto il mio limite, abbattuto il muro dei 6 minuti. La lezione è molto chiara, mai più così.
Sabato, all'Arena, l'obiettivo è ovviamente limare qualcosa, ma in maniera più lineare. Senza passare dai 3'20" del primo Km ai 3'58" dei secondi 600 metri.

A San Donato ho deciso solo all'ultimo di andare, troppo tardi per iscrivermi alla competitiva. A preoccupare, più che il piede, erano i bronchi. Ne è venuta fuori una gara corsa in totale solitudine, per certi versi fotocopia di quella del giorno precedente: straordinaria fino a oltre la metà, in deciso calando per gli ultimi chilometri. Il vento che si è alzato a metà gara è complice ma non scusa, dubito sarei riuscito a stare sotto i 4'/Km per tutti i 10 Km del percorso. Non stavo bene e non sto certo vivendo un buon momento dal punto di vista atletico. Speravo di tornare a casa con un gran sorriso, sarà per un'altra volta.

Il prossimo appuntamento sarà all'Arena di Milano, sabato 16 aprile. Un altro miglio a rotta di collo, in compagnia degli amici Mario e Jessica. Di Fulvio, instancabile organizzatore della manifestazione e di centinaia di appassionati Miglisti.
Probabilmente il mio ultimo Miglio da Podista Anonimo.
Probabilmente l'ultimo post a firma Lofa su questo blog.

QUI ci sono le bellissime foto di Massimo Sartirana delle batterie maschili. Mi trovi a cavallo tra pagina 2 e 3.